DV8 physical theater

4 Feb

LLOYD NEWSON E IL DV8 PHYSICAL THEATER
di Sergio Trombetta da
www.romaeuropa.net

Hai una bambola gonfiabile? C’è qualcuno fra i tuoi amici che la possiede? Se l’avesse, lo direbbe? Che cosa significa essere uomo? Al di là del genere anagrafico, in che cosa consiste l’identità maschile? Riassumendo, e banalizzando, le teorie di Elisabeth Badinter, l’identità femminile si forma naturalmente; quella maschile è invece frutto di una costruzione artificiale, sottoposta a riti iniziatici, che poggia soprattutto su divieti: se non vuoi sembrare una femmina non camminare in quel modo, non parlare così, non vestire con certi colori, non mostrare certi sentimenti. Un’identità fragile, dunque, che ha costretto da sempre gli uomini a reprimere se stessi e quindi gli altri. Questo reciproco controllo poliziesco porta alla intimidazione, al mettere in ridicolo il diverso. La non conformità produce disgusto, paura, reazione violenta. Ci sono sacri recinti, esclusivamente maschili, in cui gli uomini mettono a prova la propria identità: i bar, le birrerie, i pub. Raccontare in uno spettacolo di danza, o meglio, di teatro gestuale, di teatro fisico, le dinamiche di confronto e sopraffazione, di autorepressione e adeguamento comportamentale è stata la scommessa vincente di Lloyd Newson con Enter Achilles, lo spettacolo più conosciuto e amato dei Dv8. Uno spettacolo che denuncia la propria doppiezza sin dal titolo, dove Achilles è il nome del pub in cui si entra, ma la frase in inglese è leggibile anche come penetrare Achilles. Un gruppo di uomini in un pub inglese, dunque. Juke box che suona e tv che trasmette football. C’è tensione, ambigua "camaraderie" e insicurezza, la debolezza è brutalmente sfruttata e la violenza nasconde vulnerabilità.
Emozioni, attrazioni, sentimenti devono restare segreti. E il gioco spesso consiste nel lasciar andare avanti l’altro, fargli credere che ci stai e poi, quando lui si lascia andare, picchiare duro. E l’amore con una bambola gonfiabile, più tranquillizzante della donna vera che chiama e lascia messaggi sulla segreteria, deve restare una vergogna che non trapela E la birra che scorre è simbolo della nostra liquidità corporea, i bicchieri di vetro rendono l’immagine della nostra fragilità.

Non si può certo dire che Enter Achilles, nato nel 1995 (presto portato sullo schermo dalla regista olandese Clara van Gool, un video che ha fatto incetta di premi), sia stato lo spettacolo rivelazione del coreografo Lloyd Newson e dei DV8, attivi da oltre dieci anni sulla scena inglese. Ma sicuramente è il titolo che più ha contribuito a far conoscere coreografo e compagnia. Tanto che a tre anni dal debutto è ancora vivo; anzi, torna a grande richiesta. «Occorre ridefinire la nozione di danza: quale deve essere il suo aspetto, come deve muoversi, sino a che punto danzatori vecchi, grassi e disabili devono essere incoraggiati a danzare e a parlare delle loro vite?», si domanda Lloyd Newson, e aggiunge: «Molte delle cose di cui mi occupo sono spesso considerate tabù sociali. Ma sino a quando non ci si interroga su questi temi e non li si esamina, mi sembra che la società non possa progredire».

Nasce in Australia, Lloyd Newson, e ha una formazione di psicologo. Proprio mentre completava i suoi studi in psicologia a Londra è nato l’interesse per la danza che lo ha portato a studiare alla London Contemporary Dance School. Dal 1981 al 1985 è danzatore e coreografo all’Extemporary Dance Theatre durante il quale lavora con coreografi come Karole Armitage, Michael Clark, Daniel Larrieu. Dal 1986 decide di staccarsi dalla compagnia e lavorare da solo con un proprio gruppo. Nasce così il DV8 Physical Theatre; un termine, "teatro fisico", ispirato alle teorie di Grotowski e che Newson ha meditato a lungo prima di adottare perché lo temeva troppo sfruttato per descrivere ogni tipo di danza contemporanea non tradizionale. Il mestiere di psicologo lo ha portato costantemente a chiedersi "perché": il perché di ogni movimento. Ammette: «gli studi di psicologia mi hanno aiutato a indagare i modelli di comportamento e di linguaggio e a immaginare come interpretarli fisicamente». Così, mettere in scena la vulnerabilità e l’insuccesso è diventato sempre più importante; spesso chiede ai suoi performer di rivelare qualcosa della propria personalità che non avrebbero mai voluto mostrare in pubblico. Un metodo di improvvisazione e scandaglio psicologico non lontano da quello di Pina Bausch. Questo modo di ragionare, e questa esplicitazione fisica di comportamenti e linguaggi ha portato il lavoro dei DV8 su terreni rischiosi, tanto che, per esempio, nello spettacolo MSM fu necessaria a Londra la presenza di un avvocato alla prova generale per stabilire se offendesse oppure no il senso del pudore. È proprio nei confronti del grande pubblico borghese, pronto a scandalizzarsi, che Lloyd Newson vuole prendere le distanze: «In quell’occasione mi sono reso conto che i valori e i principi politici dei DV8 non saranno mai quelli della maggioranza. E non mi interessa che lo siano anche se questo vuoi dire perdere grandi somme di denaro e avere un’audience più piccola». Del resto è il lavoro stesso dei DV8, ammette Newson, che richiede pubblici ristretti, teatri che permettano un rapporto intimo fra spettatore e performer. Per questo DV8 ha da subito intrapreso la via della trasformazione dei propri spettacoli in video, molti dei quali premiatissimi. La telecamera, con la ripresa ravvicinata sul particolare, riesce ad instaurare un rapporto di nuovo molto stretto fra pubblico e danzatore. «Creo soltanto quando ho qualche cosa da dire» precisa Newson. DV8 non è una compagnia stabile, ma riunisce danzatori sulla base di progetti, quando c’è un bisogno artisticamente motivato, più che una ragione commerciale e amministrativa.

Il primo lavoro dei DV8, My Sex, Our Dance del 1986, danzato con Nigel Charnock, nasce nel momento in cui esplode l’emergenza Aids, e indaga sulla reciproca fiducia che può ispirare il rapporto fra due uomini. L’anno successivo, con My Body, Your Body la compagnia esplora la psicologia delle donne che cercano relazioni con uomini facili, ispirato al volume Women Who Love Too Much. Ed è ancora un libro, l’anno successivo, il punto di partenza del nuovo spettacolo. Dead Dreams of Monochrome Men infatti è ispirato a Killing for Company il volume di Brian Master sul serial killer Dennis Nilson. Un lavoro che esplora la terra di nessuno fra il mercato della carne dei club gay e lo squallore di angosciosi monolocali, cancella la sottile linea di confine fra sesso e morte, ma è fondato anche sulla convinzione che la omofobia sociale è destinata a scatenare tragiche conseguenze: proprio in quei mesi prendeva vita nel Parlamento inglese il dibattito sulla Clausola 28, la legislazione che vietava agli enti locali di usare denaro pubblico per «promuovere l’omosessualità». Strange Fish del 1992 riguarda la natura del nostro bisogno di cercare qualcuno e di amare qualche cosa o qualcuno; la tirannia delle coppie e dei gruppi, il dolore del non appartenere, dell’esclusione, il terrore di restare solo: tutto è reso da una serie di potenti immagini. Ultimo arrivato in ordine di tempo, Bound to Please, del 1997, è stato definito un esercizio di sadomasochismo mentale, prima che fisico. Mette in discussione i concetti di bellezza e il bisogno di piacere agli altri. Esplora il deserto urbano dell’alienazione. Porta in scena oltraggiosamente nuda una danzatrice di 67 anni, Diana Peyne-Myers, e indaga sulle dinamiche che si possono instaurare fra lei e un giovane amante. Dopo Bound to Please, il successo di Enter Achilles, ampliato dal video che ha attraversato trionfalmente i principali concorsi tv (Prix Italia, Dance Screen), le insistenze di teatri e festival che volevano a tutti costi proporre lo spettacolo ai propri pubblici, hanno costretto Newson a un passo che non avrebbe mai immaginato di fare: rimontare un suo spettacolo. Ma per una volta il contravvenire ai propri principi da parte di Newson si è trasformato in fortuna: per noi spettatori, ovviamente.

Se non li conoscete informatevi, io ne sono rimasta sinceramente colpita. Ho visto un’ unico spettacolo dal vivo l’anno scorso "Just for show" al Teatro Olimpico di Roma. Vi consiglio una gita nel loro sito www.dv8.co.uk  . Su Emule trovate anche il video "The cost of living"….

Una Risposta to “DV8 physical theater”

  1. woolkano febbraio 5, 2007 a 12:49 PM #

    tanto per rimanere nella realtà e in tema… avete visto una delle ultime pubblicità di una macchina dedicata a “chi è sempre stato MASCHIO!”: ripropone tutti gli stereotipi più triti che si possano immaginare.
    A dimostrazione che nonostante l’alta tecnologia… come esseri non ci siamo poi molto evoluti!
    Quanta strada da fare ancora!

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